Drive to Survive è il Male
Liberty Media è il male, Netflix è Satana, il pubblico statunitense è la setta che diventa sempre più numerosa giorno dopo giorno, mentre i fan europei sono diventati la vergine sacrificale.
Manca solo una buona traccia metal di sottofondo e potremmo dire di trovarci davanti ad un classico B-movie anni ’80 a stelle e strisce, ma in realtà quella descritta è l’attuale situazione in cui versa la Formula 1.
Quello che un tempo era uno sport fatto da piloti con i controcoglioni, ingegneri geniali e team principal pronti a tirare giù due bestemmie piuttosto che pensare a chi invitare alla cena di Natale, oggi è stato trasformato in un “teen drama” ad uso prevalente di un pubblico televisivo sempre più giovane, sempre più social e sempre più ‘mmerigano.
Il momento in cui tutto è cambiato ha una data ed una location precisa: 5 dicembre 2021, Jeddah.
Quella gara, disputata su un aborto di circuito, ha segnato lo spartiacque tra il modo di concepire lo sport tipico dei veri appassionati europei e quello invece inseguito da Liberty Media.
Chi non ricorda Max Verstappen col posteriore della Red Bull completamente scomposto tirare la staccata a Lewis Hamilton in curva 1 per poi andare lungo e mantenere ugualmente la posizione senza che nessuno dicesse nulla?
In quanti, nel vedere quella manovra ripetuta in più occasioni, hanno pensato “Cazzo, sembra quando corri sui kart con gli amici e inizi a guidare come uno stronzo solo per rovinargli la gara perché sai che non potrai mai essere veloce quanto loro”.
In quanti nel vedere quelle staccate finalizzate solo a rompere i coglioni all’avversario hanno pensato che la direzione gara stesse dormendo nel non prendere provvedimenti?
Eppure ai vertici è andata bene così. Lo spettacolo è piaciuto, i due rivali – casualmente – sono arrivati a pari punti all’ultima gara dell’anno dove – casualmente – è andato in scena un altro “teen drama” perfetto per la chiusura della quarta stagione di Drive to Survive.
Drive to Survive. Sembrava innocuo, “salutava sempre” direbbero i più anziani, ed invece si è rivelato il cavallo di Troia grazie al quale Liberty è entrata nel sistema Formula 1 per rivoluzionarlo totalmente.
Creare uno show televisivo e mandare a puttane decenni di tradizione è stato il primo comandamento della nuova proprietà.
“Due ore di gara non sono gradite al pubblico ggiovane cui puntiamo? E allora facciamo correre una gara breve”. Più o meno è nata così la Sprint Race.
E via di applausi a scena aperta da parte dei giornalisti – soprattutto di lingua inglese – fenomenali quando si tratta di lodare la nuova proprietà e regalare una fellatio gratuita ad ogni riga.
Qualcuno osa criticare questa porcheria? “Sei un boomer, un vecchio dimmerda, vivi nel passato, svegliah!!111!!”.
E ora il capo della baracca – il laureato in Economia che ha fallito quando è stato messo a dirigere la Scuderia non riuscendo a mettere in pratica anni di lezioni sul campo offerte da Todt e Brawn – vuole alzare ulteriormente il tiro: punti per le prove libere del venerdì, griglia invertita, una bicicletta con cambio Shimano e un quadro di Vettel impegnato a usare il deodorante (ma solo ai primi 20 abbonati a Netflix).
La nuova F1 piace al pubblico ‘mmerigano, l’audience negli Stati Uniti cresce in continuazione, i mangiatori seriali di hot dog sono attratti dal wrestling a 4 ruote. Ed ecco che magicamente spuntano tre gare negli USA in calendario. Bello? Manco per un cazzo.
Vada per Austin, pista maschia, selettiva, vera. Ma Miami e Las Vegas rappresentano la quintessenza del legame malefico Liberty+Netflix. Circuiti cittadini inutili, aberranti, dedicati ad un pubblico al quale della F1 fregancazzo perché l’importante è essere presenti nel paddock a bere champagne.
“È un’esigenza non rinviabile, avere ancora più spettacolo. Lo vogliono i tifosi, gli organizzatori, tutti“ ha dichiarato recentemente il capo della baracca.
Ecco, segnatevi bene in mente la frase “lo vogliono i tifosi” pronunciata dal dottore in Economia e Commercio. Quei tifosi trattati come letame a Spa nel 2021 ed a Monza quest’anno che sembrano essere diventati un fastidio più che un valore aggiunto.
Avete segnato quella frase? Bene, perché sempre il capo della baracca, nella stessa intervista rilasciata poche settimane fa, ha aggiunto: “Abbiamo conquistato un pubblico non fanatico di corse, creando contenuti diversi per persone diverse. I giovani hanno bisogno di intensità: nuove telecamere, nuovi tipi di narrazione. Il riconoscimento più grande? Che lo star system americano, presente in massa a Miami abbia detto: ‘This is the place to be’”.
Un pubblico non fanatico di corse e lo star system. Sono questi i fruitori cui punta Liberty Media. Per i fan veri, quelli disposti a stare in mezzo al fango, sotto la pioggia, a spendere un patrimonio pur di andare in circuito, non c’è spazio. O meglio, vanno bene come scenografia da mostrare in televisione per dire che la F1 è amata come noi mai.
La Formula 1 che noi boomer, vecchi dimmerda, appassionati veri conoscevamo non c’è più. Adesso c’è solo uno show televisivo ad uso e consumo del popolo di Netflix. C’è una Formula 1 che amano i ‘mmerigani, ma a me dell’audience crescente negli Stati Uniti, francamente, non me può fregare un cazzo.
Cordialità.